La legge di riforma sulle Comunità Montane approvata dal Consiglio Regionale il 30 settembre , rappresenta una clamorosa occasione mancata.
Avevamo la possibilità di definire i perimetri di “area vasta” di montagna, cui riservare il ruolo di momento di programmazione dello sviluppo, di definizione di azioni sinergiche da parte dei piccoli comuni montani, così penalizzati ai tavoli concertativi e per i quali i processi di marginalizzazione e di spopolamento sono sempre più avanzati.
Si è voluto seguire un’altra strada, fondata sull’unione dei comuni, per la gestione comunitaria di qualche servizio, come se questo non fosse possibile oggi. In questa logica l’aperta contraddizione fra la legge sulle comunità montane e le esclusioni di comuni, in essa contemplata, e altre leggi di sistema che lo stesso Consiglio Regionale ha approvato non più tardi di 3 settimane fa, come il PTR.
Non si possono definire aree omogenee di sviluppo in sede di PTR e poi eliminarne pezzi in sede di legge sulle comunità montana.
E’ un errore eliminare i comuni interclusi, senza dare neanche la possibilità agli statuti delle comunità di recuperare la coerenza con altre leggi regionali.
Non si può ritenere che le Comunità Montane possono essere governate da una sorta di consiglio di amministrazione, cancellando le rappresentanze e la ricchezza politica di una zona.
Strana concezione della democrazia, che per noi rimane confronto fra posizioni diverse, capacità di trovare la sintesi, a fatica, per consentire a tutti di avere diritto alla parola e di espressione delle proprie idee.
Per questi motivi la legge approvata non convince e per questo non l’ho votata.
Per questo la mia idea è di presentare una proposta di legge, di profonda modifica di quella approvata, ascoltando i territori.
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